Il lungo cammino dei diritti delle persone con disabilità
L’adozione per approvazione, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, di un testo di convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità, avvenuta il 13 dicembre 2006, rappresenta la conclusione di un lungo cammino volto alla riaffermazione, effettuata anche nel corso della Conferenza di Vienna delle Nazioni Unite sui diritti umani del 25 giugno 1993, del principio della «universalità, indivisibilità, interdipendenza e interrelazione di tutti i diritti umani». Questo testo è stato redatto da un Comitato ad hoc istituito appunto per preparare il progetto di una convenzione internazionale onnicomprensiva sulla protezione e promozione dei diritti e della dignità delle persone con disabilità, che ha concluso i suoi lavori nel corso della sua ottava sessione tenutasi a New York dal 14 al 25 agosto 2006.
Tale convenzione è aperta alla ratifica e all’adesione degli Stati a partire dal 30 marzo 2007. Prima di fare qualche breve cenno sul contenuto di questo progetto che, secondo l’art. 45, entrerà in vigore trenta giorni dopo il deposito del ventesimo strumento di ratifica o di adesione, e che risulta corredato da un Protocollo Opzionale (sulla falsariga di altri atti internazionali in materia di diritti umani), diretto a prevedere un sistema di controllo, vale la pena di ricordare, sia pure brevemente, che l’idea di una convenzione mondiale diretta ad affermare i diritti delle persone con disabilità, fornita di efficacia vincolante, cioè obbligatoria per gli Stati, va riconosciuta in primo luogo all’Italia.
Spero che i lettori scuseranno i pochi riferimenti personali che seguiranno, finalizzati solo a rivendicare all’Italia un ruolo assolutamente positivo. I miei ricordi mi conducono all’ormai lontano 1987, allorché il governo italiano, che in quell’epoca mi utilizzava come negoziatore per la Convenzione sui diritti del bambino (i negoziati si conclusero nel 1989), mi inviò ad una riunione delle Nazioni Unite a Bled, presso Lubiana, allora jugoslava, proponendomi di lanciare una proposta “nuova” in materia di diritti umani che garantisse un’attenzione verso l’Italia da parte degli altri Stati. Fatta una rapida ricognizione nella materia e constatato che ormai esistevano o stavano per esistere molti atti vincolanti sulle donne, i minori, i migranti ecc., proposi di “lanciare” una convenzione relativa alle persone con disabilità che, sul piano della politica internazionale ancora caratterizzata dalla “guerra fredda”, potesse catalizzare l’attenzione degli Stati appartenenti ai due Blocchi per l’alto “carattere umanitario”.
La proposta fu approvata dal Ministero degli Affari Esteri italiano che mi autorizzò a renderla pubblica in sede ONU e, una volta che ciò avvenne, mi incaricò di predisporre, in qualità di coordinatore, con i funzionari dei vari ministeri interessati, un progetto di convenzione da depositare alle Nazioni Unite. 3 Il successo ottenuto inizialmente si attenuò di fronte alle perplessità manifestate dagli Stati, specie i più poveri, timorosi di non essere in grado di garantire alle persone con disabilità, per ragioni finanziarie, l’esercizio concreto dei diritti in materia di istruzione, salute e lavoro. Si ripiegò su un atto internazionale non obbligatorio, come le “Norme standard sulle pari opportunità delle persone con disabilità”, approvate a New York il 20 dicembre 1993, ai cui negoziati fui nuovamente inviata in rappresentanza dell’Italia.
Durante quei negoziati feci due richieste che furono esaudite, sia pure con qualche difficoltà:
1) che al punto 9 si chiarisse che “una bozza di convenzione è stata predisposta dall’Italia e presentata all’Assemblea Generale nel corso della quarantaduesima sessione” (cioè nel 1987 e tuttora disponibile presso la rappresentanza italiana delle Nazioni Unite)
2) che al punto 14 si insistesse sul valore di consuetudine internazionale che le norme standard avrebbero potuto acquistare se osservate da tutti gli Stati, come precisato dalla sottoscritta nel corso di uno degli incontri preparatori (Helsinki 1990), al quale avevo partecipato. Quanto al contenuto della Convenzione, il cui testo viene qui allegato, esso è assai vasto. Pertanto si procederà solo a segnalare, tra gli altri, gli articoli sull’uguaglianza e nondiscriminazione; sulle donne ed i bambini disabili (artt. 5 – 7); sull’accessibilità (art. 9); sul diritto alla vita (art. 10); sull’uguaglianza di fronte alla legge (art. 12) e l’accesso alla giustizia (art. 13); sull’integrità della persona (art. 17); sulla vita indipendente e sulla possibile inclusione nella comunità (art. 19); sull’istruzione (art. 24); sulla salute (art. 25) e sulla riabilitazione (art. 26); sul lavoro (art. 27); sull’adeguato standard di vita e protezione sociale (art. 28); sulla partecipazione alla vita pubblica e politica (art. 29), alla vita culturale, al tempo libero e allo sport (art. 30). Il sistema di monitoraggio è assicurato a livello internazionale da un Comitato per i Diritti delle persone con Disabilità che potrà consistere di diciotto membri nel periodo in cui la Convenzione giungerà a pieno regime.
Vale la pena di concludere osservandosi che:
1) la presente Convenzione costituisce il primo atto internazione obbligatorio del XXI (ventunesimo) secolo in materia di diritti umani, così come è stato definito dalle Nazioni Unite;
2) la stessa Convenzione va ad integrarsi con gli altri atti internazionali concernenti i diritti umani, già esistenti, che sono applicabili ovviamente alle persone con disabilità, avendo lo scopo di evidenziarne la particolare situazione, di fornire loro maggiore tutela e di migliorare le loro condizioni di vita in qualunque parte del mondo.
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