La devianza come "mancanza"

Il “paradigma delle assenze" individua diverse carenze strutturali, economiche, di valori, e di controllo sociale come cause principali della devianza
Nel contesto delle spiegazioni sociologiche, alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, nasce la sociologia, che si distingue per il suo interesse non solo verso la criminalità, ma anche verso la devianza in senso più ampio. In questa prospettiva, si comincia a considerare che l’origine della devianza non risieda nell’individuo, ma nella società stessa.

Questo concetto viene sviluppato nel cosiddetto “paradigma delle assenze o del deficit,” che individua diverse carenze strutturali, economiche, di valori, e di controllo sociale come cause principali della devianza. Queste lacune si estendono anche agli ambiti educativi, relazionali e sociali, suggerendo che una mancanza di coesione e sostegno nelle strutture della società contribuisca alla devianza.

A questo si lega la teoria del conflitto, secondo cui povertà, disoccupazione e disuguaglianze – elementi considerati carenze strutturali – incidono direttamente sulle condizioni materiali delle persone, spingendole alla devianza. Karl Marx sosteneva, infatti, che il crimine è una conseguenza delle condizioni di deprivazione e sfruttamento che derivano dall’organizzazione strutturale della società. In questa visione, le società sono unite attraverso l’imposizione di norme dettate dalle classi dominanti, il cui controllo si estende anche al dominio legislativo.

Il dominio di classe, infatti, si realizza spesso tramite la legge, dato che coloro che controllano i mezzi di produzione sono anche coloro che dettano le regole. Questo processo conduce alla creazione di leggi penali che mirano prevalentemente a criminalizzare i comportamenti delle classi inferiori. La devianza, in questa prospettiva, è considerata una reazione alla mancanza di potere, una sorta di scelta politica che rivela il conflitto tra marginalità e dominanza sociale.

Un esempio di questa teoria è la “criminologia radicale,” sviluppata da Stuart Hall nel suo lavoro del 1978, Policing the Crisis. In questo studio, Hall analizza le aggressioni a scopo di rapina compiute da giovani neri e mostra come il panico morale verso queste aggressioni venga amplificato dai media e dal potere politico, al fine di distrarre l’attenzione pubblica dai problemi sociali reali, quali disoccupazione e salari insufficienti. Questo meccanismo, secondo Hall, divide la working class in base a linee razziali, canalizzando le frustrazioni della popolazione bianca contro quella nera.

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