Poveri e vecchi, tra assistenza e carità
Spesso vecchio voleva anche dire povero e malato. Distinzione netta tra inabili (onesti) e gli idonei al lavoro (disonesti).
Carlo Magno diede nuovo impulso all’assistenza regolando esercizio della mendicità e accattonaggio con le Ammonizioni generali del 789.
È soprattutto a partire dal XIV secolo che sovrani e istituzioni si trovarono di fronte a necessità di prendere iniziative concrete contro la depauperizzazione:
- 1349 Edoardo III d’Inghilterra decreto sancisce l'obbligo di lavoro per uomini sani
- 1351 in Castiglia ordinanza contro accattonaggio obbliga ultra dodicenni a lavorare, poi nel 1387 facoltà ai cittadini di arrestare accattoni
- 1351 Re Giovanni il buono di Francia impone a tutti i mendicanti sani di Parigi l'obbligo di lavoro o lasciare la città.
Dal secolo XVI aggiornamento delle dottrine religiose e atteggiamenti collettivi nei confronti della povertà superando la sfera del sacro e condannando l’ozio approda all’esaltazione del lavoro. Centralizzazione dell’assistenza ai poveri e assoluto divieto di mendicare. Nella società moderna la presenza di grandi masse crea molti poveri al minimo imprevisto.
Una nuova politica sociale
Nuove misure di assistenza tendono alla laicizzazione, all’accentramento e all’isolamento dei poveri con iniziative di carattere repressivo più che caritativo. L’immagine dei poveri è cambiata.
- Il Parlamento di Parigi ordina nel 1515 ai vagabondi di lasciare la città, pena la costrizione ai lavori pubblici. Nel 1535 minaccia di pena di morte. A Lione sorge l’Ufficio dei Poveri: aiuto ai trovatelli, funzioni repressive contro ozio e controllo immigrazione. Situazione problematica anche nella Venezia d’inizio XVI secolo.
- Un editto di Carlo V nel 1520 ad Augusta raccomanda vigilanza sui vagabondi. Nel 1540 lo stesso Carlo V per la Spagna emana statuto di ass. ai poveri con l’istituzione di un padre de pobres.
- In Inghilterra lo statuto di Enrico VIII nel 1531 ordina un censimento di validi e invalidi con frustate e reinserimento professionale per i figli.
Opposizione della autorità ecclesiastiche alla laicizzazione delle istituzioni ospedaliere e caritative. Un filone di pensiero continuava a considerare elemosina e carità elementi costitutivi dell’ordinamento del mondo.
Il teologo Roberto Bellarmino: “È Dio stesso che vuole nel mondo esistenza di ricchi e poveri. Ordine sociale direttamente istituito da Dio”.
Ludovico Vives nel 1526 in “De subventione pauperum” cura e assistenza spetta ad amministratori politici e città senza mendicanti degna di fama. Censimento, espulsione escludendo profughi di guerra, occupazione per infermi negli ospedali.
Il Lavoro introdotto negli ospedali non aveva come scopo finalità di mercato ma pedagogia sociale, educazione etico-religiosa. Alla fine del XVI è esaurita la contesa sulla misericordia. L’opera di carità si collega alla ragion di Stato, alle prerogative e all’ideologia dello Stato moderno che fonda il suo apparato repressivo nella lotta al vagabondaggio e ai pericoli sociali della miseria.
Nascondere e controllare il diverso
Grande reclusione dei mendicanti nel XVI e XVII è coronamento della nuova politica sociale in concomitanza con l’affermazione dello Stato moderno, l'immagine del povero si modifica progressivamente con contorni negativi. Dopo la segregazione forzata dei lebbrosi si passò ai folli e ai mendicanti.
A Roma fondato nel 1581 per ordine di Gregorio XIII un Ospedale Generale per riunire tutti i poveri.
In Inghilterra Bridewell a Londra per i vagabondi e circa 200 case di lavoro.
Nell’Ospedale generale di Parigi nel 1616 recluse circa 2'200 persone. Il lavoro diventa forma di educazione e socializzazione.
Tra Sette e Ottocento le numerose pubblicazioni sulla mendicità testimoniano come la miseria fosse diffusa e diventata grave problema di ordine politico e culturale. Tutte le riflessioni partivano dalla ormai accettata distinzione tra vari tipi di poveri, esaltazione del lavoro come forza di redenzione, intervento dello Stato con censimenti, incaricati e luoghi deputati.
Muratori nel 1723 in Della carità cristiana in quanto essa è amore del prossimo. Trattato morale auspicava la creazione di un organismo misto di laici ed ecclesiastici. Anche per Muratori l'uso delle elemosine va fatto con “circospezione e prudenza”.
L’economista Antonio Genovesi nel ‘700 spiega i motivi per cui è vantaggioso far entrare i poveri nella massa dei lavoratori. Nello Stato tutti devono essere utili.
Sulla stessa lunghezza d’onda economista e teologo Giambattista Vasco che accusa la mancanza di volontà e auspica leggi severe.
Il riformatore modenese Ludovico Ricci accusa l’assistenza “gratuita” in quanto creatrice di povertà.
L’idea di utilità della miseria come stimolo al lavoro e concezione dello Stato come motore principale della assistenza comportò la secolarizzazione dei beni assistenziali.
Le riflessioni ottocentesche
Il dibattito di inizio Ottocento si amplia a capire le cause complesse della povertà, senza limitarsi ad accusare genericamente la cattiva volontà e i vizi delle persone.
F. Naville, filosofo e pedagogista svizzero distingue in una sua opera del 1835 due tipi di carità quella preventiva e quella sovventiva, che a sua volta si distingue in volgare e legale.
La risoluzione del problema della mendicità nel nuovo secolo si stava concretizzando nella proibizione della mendicità e nella diffusione delle Case d’Industria e di Ricovero.
“Ogni elemosina a una persona valida è un delitto sociale”, affermava Vilio Locaspi nel 1817.
Di più ampio spessore le riflessioni del barone De Gerando, il più importante autore di opere sulla beneficenza privata molto apprezzato anche in Italia, secondo cui l’apparente inevitabilità del pauperismo enunciata dai malthusiani doveva essere combattuta in quanto inaccettabile per la morale cristiana. Ripropone ne Le visitateur du pauvre (1838), una figura che può considerarsi il modello di operatore di carità che andava accentuandosi nel corso dell’Ottocento.
Secondo molta parte della gerarchia cattolica, la trasformazione dell’elemosina in un diritto esigibile implica l’impossibilità per il ricco generoso di guadagnarsi il paradiso e ciò portava la Chiesa ad opporsi a ogni tentativo di rovesciamento della struttura sociale.
L’avvocato bresciano Giuseppe Saleri dopo aver osservato che “i delitti abbondano sempre fra i miseri”, in un suo Discorso del 1836 sollecita l’interessamento delle classi più agiate poiché in tal caso “la causa del povero è quella del bene dell’intera società. Sulla linea tracciata da Degerando propone un “proteggitore del popolo” in ogni comune o circondario.
Al dibattito sulla povertà nella prima metà dell’Ottocento partecipa anche l’economista senatore Carlo Ilarione Peritti di Roreto che nel Saggio sul buon governo della mendicità, degli istituti di beneficenza e delle carceri (1837) propugnava il bisogno di una “carità illuminata” mettendo insieme due principi: quello che impone a ogni uomo a contribuire in ragione delle proprie facoltà alla produzione generale, e che d’altra parte si devono usare quei riguardi che la religione e la moralità comandano verso gli infelici. Condivideva molti punti del pensiero corrente sul pauperismo ma non condivideva però le conclusioni di Melchiorre Gioja secondo cui aumentare le elemosine aumenta il numero dei mendicanti. Necessari una serie di provvedimenti su educazione, vita pubblica, promozione di casse di risparmio.
L'intervento dello Stato per prevenire la povertà era indicato nella prevenzione attraverso l'istruzione, l'educazione e, infine, l'assistenza. Di conseguenza all'inizio dell'Ottocento vengono emanate delle leggi che mettono al bando l'accattonaggio e in molte città la locale congregazione di carità organizza delle case di ricovero e di industria o di lavoro. Strutture sorte per i poveri e i vagabondi che interessarono molto i vecchi, di solito bisognosi. La vita all’interno delle Case di Riposo tendeva ad assomigliare molto alle “istituzioni totali” descritte da Goffmann. Per il ricoverato si trattava di una “morte civile”.
L’opera dell’abate Jacopo Bernardi, fondatore del ricovero per anziani di Pinerolo, si segnala per alcune sue riflessioni molto attuali. Tra i vizi corruttori, l‘abuso dei liquori, la dissolutezza e il gioco, che vanno contrastati con l’educazione, e le cause della reale indigenza si dicevano a: l’impotenza al lavoro, l’insufficienza del profitto del lavoro e la mancanza di lavoro.La beneficenza non doveva essere cieca e malaccorta e si augurava con spirito anticipatore un’assistenza di tipo domiciliare.