Dinamiche transferali in educazione
Oltre alla disconferma e all'ingiunzione paradossale vi è un terzo elemento di problematicità della comunicazione interpersonale che funge da ostacolo alla costruzione di una competenza comunicativa: è quello dell'effetto pigmalione negativo o, in senso più lato, del transfert negativo. Grazie all'esperimento di Rosenthal si è visto come le aspettative giochino un ruolo determinante nel raggiungimento del successo formativo: laddove gli insegnanti siano realmente convinti delle potenzialità d'apprendimento dell'allievo, quest'ultimo ha potenzialità di successo incommensurabilmente superiori a quelle conseguite dalla media della popolazione. Purtroppo molti rilievi della quotidianità educativa sia scolastica che familiare recano con sé narrazioni di tutt'altro tenore che parlano di frustrazioni, insuccessi, aspirazioni deluse e frustrate, aspettative negative o ambivalenti e conflittuali.
Il transfert, in psicoanalisi, è il processo di trasposizione inconsapevole, nella persona dell'analista, di sentimenti provati dal soggetto nei riguardi di persone che ebbero importanza nella sua vita infantile.
Lo si deve al fatto che si hanno alle spalle tradizioni educative violente e autoritarie; che difficilmente gli educatori sanno mantenere distanze adeguate nella relazione educativa; che ogni insegnante e ogni genitore sono portatori di una storia personale non sempre semplice da accettare, che li spinge ad esigere compensazioni e risarcimenti da parte dell'allievo o del figlio; che per un problema di insicurezza si vive come ansiogeno il confronto tra i propri figli e allievi e i figli ed allievi altrui, per cui li si stimola spesso alla competizione con l'altro anziché alla valorizzazione del proprio percorso. Peraltro l'aspettativa di genialità trasmessa in sede sperimentale risulta in sé eccessiva e deve fare i conti con tante altre aspettative circolanti nella vita dell'allievo: alla Oak School, il rapporto fra scuola e famiglia era marcatamente disvelato e le famiglie dei bambini più dotati mutuava passivamente le aspettative degli insegnanti, ma che cosa accadrebbe in un territorio con caratteristiche sociali e culturali differenti?
L'effetto pigamlione negativo: aspettative e preconcetti negativi delle persone intorno a noi possono convincerci di avere dei limiti, andando ad impattare in modo tutt’altro che costruttivo sul nostro futuro e sulla nostra capacità di fissare e raggiungere obbiettivi
Al di là dell'esperimento, scuola e famiglia come detto veicolano più facilmente effetti pigmaglione negativi piuttosto che positivi: l'acquisita consapevolezza della distruttività dei primi e del potere positivo dei secondi può indubbiamente il loro operato ma contiene comunque un rischio di forzatura tale per cui quelle che dovrebbero costituire aspettative certe positive risultano invece minate dall'ansia del fallimento e vengono veicolate come ambivalenti e conflittuali. La priorità in ambito educativo diviene allora quella di evitare rischi di forzatura dell'esperienza cercando di trasmettere aspettative positive realistiche: non si tratta di puntare all'eccellenza ma di convincersi piuttosto che tutte le esperienze di crescita e di apprendimento sono tendenzialmente alla portata del figlio e dell'allievo e hanno buone se non ottime possibilità di successo. È scontato? Il dialogo frequente con insegnanti e genitori suggerisce di no: l'ansia dell'insuccesso si sedimenta sin dalle più elementari esperienze di apprendimento, come l'imparare a parlare, a camminare e tutto ciò che ne consegue.
Perché inserire la riflessione sull'effetto pigmalione in un capitolo dedicato al transfert? Perché le formazioni transferali giocano un ruolo importante nell'economia dei comportamenti sociali, e l'effetto pigmalione è una di quelle. Certo, si fa riferimento in questo caso a un transfert calato dall'alto, rivolto da genitori e insegnanti a figli ed allievi e non espresso, primariamente da questi ultimi, come di solito avviene o dovrebbe avvenire, nella relazione fra analista e paziente. In ambito analitico si è soliti annoverare i vissuti e le emozioni dell'analista al fenomeno del controtransfert, come se essi si costituissero sempre come risposte ai transfert del paziente. Posto che anche nel setting analitico è poco probabile che questo accada, a maggior ragione in ambito educativo sarebbe arbitrario considerare i comportamenti degli educatori quali mere reazioni ai comportamenti degli educandi. L'esperienza suggerisce diametralmente il contrario: sono i genitori ad agire sui figli con giochi di proiezione che li inseriscono dentro una precisa costellazione familiare; e sono gli insegnanti che attribuiscono agli allievi un'insieme di requisiti e attributi identitari, interamente dimensionati sulle proprie preferenze priorità.
Questo non significa ovviamente che figli e allievi non facciano a loro volta transfert nei confronti di genitori e insegnanti, ma che i loro transfert sono indubbiamente più condizionati da quelli subiti e giochi in un ruolo meno centrale all'interno del contesto educativo di quanto non accada in quello analitico. Cos'è il controtransfert in questa cornice? Nient'altro che la risposta competente da parte dell'educatore a un precedente transfert dell'educando… o dell'educatore stesso. Insegnanti e genitori sono spesso chiamati a correggere il tiro delle proprie percezioni degli allievi e dei figli e farlo significa rendersi conto di avere effettuato un transfert in debito nei loro confronti, legato alla propria storia personale più che al loro percorso di crescita. Significa operare in termini controtransferali nei propri stessi confronti. Come acquisire questa competenza? L'orizzonte di riferimento è quello dell'empatia, ovvero una disposizione all'ascolto e all'osservazione che aiuti l'educatore a sviluppare una soglia emozionale adeguata, non troppo e non troppo poco coinvolta nella relazione con l'educando.
Ovviamente, la diversità dei contesti e dei processi intorno a cui si dispiegano i vissuti transferali in educazione rispetto a quanto accade in ambito analitico non azzera la loro pertinenza con la parte inconscia della personalità, ma indubbiamente la riduce. Vi sono indubbiamente transfert riconducibili nel senso classico del termine a esperienze traumatiche, oggetto di rimozione, ed è più probabile che riguardino la personalità dell'insegnante piuttosto che quella dell'allievo per il suo avere alle spalle un cammino di più lungo corso: molti transfert educativi però provengono dalle parti consce e preconscio della mente e della personalità e chiamano in causa l'universo di valori e di conoscenze che contraddistinguono una certa cultura, società, classe sociale, scuola e famiglia. Da questo punto di vista risulta particolarmente interessante l'analisi dei condizionamenti provenienti dal cosiddetto inconscio collettivo.