Messaggi di relazione efficaci e inefficaci

Ecco come modalità comunicative "sane" in ambito educativo (conferme e rifiuti) possono facilmente tramutarsi in messaggi relazionali disfunzionali: disconferme, pseudoconferme e pseudorifuti

È la comunicazione non verbale che ci consente di inviare messaggi sulla qualità delle relazioni in corso. Il più gratificante è la conferma: “Mi piaci, ti stimo, sei abile”. Ma dire a qualcuno “mi piaci” non è sempre un messaggio di conferma, se ciò che vogliamo in lui non risponde a tratti essenziali e significativi della sua personalità.

Inoltre, raramente la conferma è pura e incondizionata. La conferma autentica necessita di una soglia di distanziamento emotivo, che non renda eccessivo il coinvolgimento ma non lo azzeri neppure. I messaggi di conferma risultano tanto più probabili quanto meno nascono da una posizione di dipendenza disfunzionale dalla relazione con l'altro e quanto più possono esprimersi liberamente. È più semplice confermare ciò che si conosce e che conferma a sua volta il proprio mondo.

Rifiuti “necessari”

Non è possibile educare chicchessia mediante reazioni esclusive di piena accettazione dei suoi comportamenti: l’esperienza educativa deve poter veicolare anche feedback di rifiuto o negazione. Possiamo considerare come pedagogicamente necessari quei rifiuti che rispondono a un preciso dovere di protezione dei soggetti di cui siamo chiamati a prenderci cura. La capacità degli educatori di esprimere messaggi di rifiuto e negazione è essenziale e funzionale a fornire un contenimento e una cornice adeguata all'esperienza educativa. 

Sorgono però dei problemi, primo fra tutti la difficoltà di far comprendere al bambino e all'adolescente la reale necessità di intervenire in quei termini. Per dare senso a quel comportamento di rifiuto e negazione, è possibile tentare di trasmettere informazioni adeguate, ma sia la mente del bambino che quella dell'adolescente si prestano a ricezioni solo parziali.

Rifiuti “elettivi"

I rifiuti definiti “elettivi” sono quelli che corrispondono a precise preferenze o opzioni del genitore o dell'insegnante e ai loro stili educativi. Molti rifiuti sono provocati dal personale indice di gradimento del docente (“mi piace, non mi piace”) che così facendo impone il proprio gusto e il proprio stile rischiando di snaturare quello dello studente. Nessun genitore può educare il figlio senza comunicargli una propria visione del mondo e una corrispondente concezione dell'educare, e nessun insegnante è in grado di rimanere assolutamente neutrale e privo di un proprio orientamento educativo. Sarebbe tuttavia necessario che entrambi avessero consapevolezza della relatività dei propri messaggi di rifiuto e di negazione quando non più imposti da un obbligo di protezione ma indotti da loro precisa preferenze personali e sociali e imparassero a comunicarli con minore enfasi e direttività.

Purtroppo però, i rifiuti elettivi risultano imposti spesso con la medesima rigidità con cui vengono comunicati quelli necessari, a volte anche con rigidità superiore. Essenziale alla costruzione di una adeguata competenza comunicativa in ambito educativo e che il rifiuto elettivo sia comunicato in tutti i suoi elementi di fondatezza ma anche di relatività.

Qual è il modo più evoluto per comunicare in modo adeguato un rifiuto elettivo? Ad un primo livello deve rendere conto della propria relatività, mentre ad un livello più alto dovrebbe poter essere comunicato come depositario di una tensione dialettica, una tensione tra i 2 punti di vista opposti.

La chiave di volta potrebbe essere per esempio quella indicata da Maria Montessori che senza esigere la perfezione immediata, responsabilizza l'allievo in attività di autocorrezione, che non deleghino esclusivamente all'insegnante il compito di individuare gli errori il piacere dell'autocorrezione prende il posto dell'umiliazione dell’etero correzione. Il problema reale è creare nei contesti scolastici e familiari condizioni di legittimità all'esperienza dell'errore.

Disconferma

Un feedback che è possibile inviare attraverso la comunicazione non verbale è la disconferma (“non mi piaci, non mi interessi, non ti stimo, non esisti”) il senso di questo messaggio sembra voler perseguire la non esistenza dell'altro e può esprimersi nel tentativo di ignorare il soggetto a cui si rivolge emarginandolo, distruggendolo.

Perché insegnanti e genitori spesso inviano messaggi di disconferma? Possono aver ricevuto loro stessi un'educazione troppo rigida, ancorata un'unica visione del mondo. La personalità disconfermante può essere stata vittima di modalità comunicative arbitrare e violente prolungate nel tempo e spesso imprevedibili. 

Conosciamo in prima persona il disagio dell'incontro con persone che ci respingono o ci ignorano. Questo non è grave se accade in rapporti liberi da vincoli, ma il discorso cambia quando ci si deve confrontare con le priorità proprie delle relazioni di cura.

È possibile operare realmente a favore dell'inclusione se non si è in grado di abbattere i propri pregiudizi? Molti insegnanti risponderebbero di sì, ma la questione non è così evidente: anche l'insegnante più democratico rischia di limitarsi a un atteggiamento di “tolleranza” della presenza altrui che non sancisce ancora la piena accettazione e riconoscimento.

Pseudoconferma

In passato le disconferme potevano risultare esplicite: genitori e insegnanti pronunciavano spesso parole molto dure accusando figli allievi di essere cattivi in morali inutili e responsabili oggi sappiamo che quelle parole e i loro giudizi sono pericolosamente inefficaci e le si pronuncia sempre meno spesso. Ecco allora che la disconferma diventa pseudoconferma, che si dà quando  l'insegnante finge di confermare l'allievo e anziché esprimere atteggiamenti di stima autentica e di reale approvazione si limita a comunicare nei suoi confronti giudizi ipocriti e rassicuranti. Non è un caso che in ambito scolastico la scala di valutazione sia sempre più sbilanciata verso l'alto contrariamente a quanto accadeva in passato.

Le ragioni per cui ciò avviene possono essere il desiderio di semplificarsi la vita o di prevenire reazioni negative da parte delle famiglie. In ambito familiare, le reazioni accondiscendenti della pseudoconferma possono essere portate, per esempio, dal desiderio di un genitore alla calma e alla quiete nelle poche ore a disposizione con i propri figli dopo una giornata di lavoro.

La pseudo conferma è una conferma apparente inficiata dall'indifferenza. Nasconde dietro un’accettazione di superficie, il venir meno di quella assunzione di responsabilità che vincola chi la esprime ad interessarsi realmente alla situazione dell’altro e ad impegnarsi si conseguenza.

La pseudoconferma trasmette una gratificazione inautentica, che spinge il figlio o l'allievo ad accontentarsi di ciò che sono e che già sanno fare, anziché aiutarli a riconoscere i propri limiti e le corrispondenti potenzialità. Per loro diviene difficile  cogliersi in termini evolutivi e individuare nuove sfide di crescita e di apprendimento.

Pseudorifiuto

Si danno messaggi di pseudo rifiuto quando il rifiuto stesso 8che abbiamo detto essere positivo e necessario all'intervento educativo quanto la conferma) acquista un peso eccessivo all'interno della relazione e rischia di divenire tutta la relazione medesima. Alcuni rifiuti si traducono infatti in comportamenti di accanimento educativo che perseguono come unico effetto quello di voler piegare la volontà e la personalità dell'altro. E’ il caso di genitori che pretendono di imporre ai figli le proprie scelte.

Lo pseudo rifiuto è un rifiuto apparente che si traduce in comportamenti persecutori, e  risulta a lesivo non solo per la forza con cui tenta di piegare la personalità ma anche per il negare le autonomie e i talenti.

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