Messaggi di relazione nell’esperienza educativa
Introduzione
Insegnanti e genitori si sentono spesso in dovere di distribuire in modo tendenzialmente egualitario le proprie attenzioni, ma i Volti degli allievi che incontrano, quando non quelli dei loro stessi figli, suscitano in loro reazioni differenti: alcuni sono come una calamita, dalla quale risulta difficile staccare l’attenzione e prendere le distanze; altri rischiano di sprofondare piu facilmente nell’indifferenza, precludendo l’attivazione di soglie adeguate di concentrazione e decentramento; altri ancora possono suscitare reazioni di fastidio o indifferenza.
È difficile prendere coscienza di questi vissuti e delle reazioni che ne conseguono, senza sentirsi in colpa e senza addebitarne la responsabilità a certe caratteristiche del figlio come dell’allievo: farlo tuttavia è il primo passo teso alla costruzione di una competenza relazionale e comunicativa in ambito educativo. Prendere atto delle proprie reazioni spontanee significa infatti fare i conti con la storia personale e formativa di ciascuno di noi e scoprirsi abili e competenti in alcune situazioni, fragili e inesperti in altre: nulla di più facile che insegnanti e genitori eccellenti, a detta di alcuni, risultino invece in difficoltà o persino violenti, secondo l’opinione di altri. È come se si fosse spezzato il cerchio magico della mutua e reciproca comprensione, mettendo in gioco e aprendo scenari, che costringono a confrontarsi con situazioni sin lì non considerate possibili.
Nei contesti familiari, l’imprinting formativo dei genitori e di altre figure significative può ridurre i rischi di dissonanza e di incontro con in Volti oscuri e stranieri dei propri figli, o per lo meno rinviarlo sino agli anni dell’adolescenza quando la messa alla prova delle proprie autonomie personali e sociali da parte dei figli e le pulsioni regressive e infantilizzanti dei genitori rischiano di alimentare il conflitto e ridurre gli spazi di coesione e condivisione.
In ambito scolastico, al contrario, la difficoltà si presenta spesso in modo urgente e immediato, poiché la diversificazione degli stili esistenziali, sociali, educativi e di relazione rende i contesti comunitari meno coesi e la scuola più esposta al rischio di confrontarsi con situazioni marcatamente eterogenee. Il rischio che ogni insegnante si senta a proprio agio con alcuni allievi e con le loro famiglie, e si percepisca in conflitto con altri oggi è piuttosto marcato.
Come uscirne? Acquisendo quella competenza di base che ha a che fare con l’esame di realtà. Se ad un primo livello è doveroso riconoscersi come esperti in alcune situazioni ed inesperti in altre, ad un secondo livello è necessario comprendere che il prezzo da pagare all’inesperienza e all’incompetenza è il fraintendimento.
I fraintendimenti si impongono con frequenza in ambito comunicativo come quando, ad esempio, un messaggio che per l’insegnante e il genitore vorrebbe essere incoraggiante, rischia di essere percepito, al contrario, come autoritario, violento, lesivo dell’autostima da parte di chi lo riceve. I fraintendimenti si impongono anche in ambito evolutivo, per la difficoltà che tanto gli insegnanti quanto i genitori, incontrano nell’accettare comportamenti che sono invece in linea con gli elementi di complessità del processo di crescita.
I messaggi di relazione possono veicolare conferme, rifiuti o negazioni e disconferme. Apparentemente è semplice distinguere fra le une e le altre, poiché ciascuna di loro fa riferimento a vissuti differenti e differenti atteggiamenti educativi. Alla prova dei fatti, tuttavia, talin messaggi vengono veicolati dalla comunicazione non verbale, che risulta spesso ambigua e può dare adito a fraintendimenti. In particolare in un contesto come quello attuale che alimenta il rispetto di un pensiero politicamente corretto, delegittima le tradizionali forme di violenza dell’educazione del passato, addebita agli insegnanti stessi e alle famiglie la responsabilità di molti fallimenti di figli e allievi, vi è la tendenza a occultare e negari i messaggi radicalmente negativi, come la disconferma, o quelli più impegnativi e responsabilizzanti, come i rifiuti. Così molte disconferme si celano sotto forma di pseudo conferme e pseudonegazioni: ne conseue un contesto apparentemente più tollernate e accettante che in passato, in realtà dominato da una sostanziale indifferenza verso i bisogni formativi di figli e allievi.
Per comprendere il reale significato dei messaggi di relazione, non è sufficiente analizzare le relazioni educative come sistemi isolati ma, in base all’approccio sistemico, è necessario inserirle nei contesti istituzionali entro cui si svolgono. Da questo punto di vista, è fondamentale articolare l’analisi a due livelli. Il primo fa riferimento alla punteggiatura delle sequenze comunicative: l’approccio lineare, il più diffuso nella quotidianità dei nostri comportamenti spontanei, tende a leggere i comportamenti comunicativi secondo nessi di causa effetto tali per cui si è portati a considerare i propri comportamenti prevalentemente come risposte a precedenti comportamenti altrui. L’approccio circolare, al contrario, ritiene che tutti i soggetti coinvolti in una data relazione condividano la responsabilità dei comportamenti che si sviluppano al suo interno. Tale consapevolezza risulta illuminante per l’osservatore di un contesto comunicativo e relazionale, in quanto aiuta l’osservatore stesso a non lasciarsi impressionare dalle sequenze comunicative che lo colpiscono maggiormente e a riconoscere gli elementi di reciproca implicazione che legano, gli uni agli altri, tutti i comportamenti del contesto.
In base a questo principio, tutti i soggetti che comunicano all’interno di un contesto sarebbero ugualmente coresponsabili. In realtà la responsabilità va commisurata ai ruoli occupati e alle corrispondenti posizioni di potere e di esercizio delle responsabilità; vi sono relazioni simmetriche, tendenzialmente paritarie, che pongono tutte o alcune persone del contesto in una medesima posizione di potere e di esercizio della responsabilità; vi sono relazioni complementari, gerarchicamente orientare, tali per cui alcune persone del contesto occupano una posizione dominante mentre altre si trovano in posizione subalterna. Anche questa distinzione, apparentemente molto semplice da cogliere, si scontra in realtà con elementi di complessità del contesto, a cominciare dai vissuti delle persone coinvolte: le relazioni di amicizia e d’amore sono apparentemente paritarie ma non sempre vengono vissute come tali da coloro che le vivono. La relazione fra insegnanti e allievi o fra genitori e figli è una relazione gerarchica e complementare, ma può accadere che i primi risultino incapaci di esercitare le competenze da loro assegnate e si scoprano persino deboli e indifesi nei confronti di coloro di cui dovrebbero prendersi cura.
Le relazioni efficaci sono regolate da un principio di flessibilità che consente ai protagonisti di rapporti simmetrici di scambiarsi i ruoli up e down con frequenza e secondo vissuti di fiducia reciproca, e ai protagonisti di rapporti complementari di gestire il potere in modo funzionale senza pregiudicare le autonomie dei destinatari dell'intervento educativo. Le relazioni rigide, inefficaci e disfunzionali, espongono il modulo simmetrico al rischio continuo dell'escalation competitiva e il modulo complementare al rischio frequente dell'inversione dei ruoli: inversione ovviamente disfunzionale, tendente a porre in posizione dominante chi non ha le competenze utili e necessarie ad occupare quella posizione. I problemi di cristallizzazione dei ruoli pertanto non ineriscono solo le relazioni complementari, come asserito dalla scuola di Palo Alto, ma anche quelle simmetriche, quando si irrigidiscono e diventano disfunzionali.